Il mero controllo di qualità esclude le royalties dal valore in dogana

Con la sentenza della Cassazione n. 21775, pubblicata il 09 ottobre 2020, gli ermellini  si esprimono circa il corretto valore delle merci da presentare in dogana, ai fini del pagamento dei dazi e dell’IVA in importazione.

Il caso

La vicenda trae origine dalla mancata inclusione, nel valore delle merci importate, dei diritti di licenza o royalties pagati da una società italiana importatrice alle licenzianti di noti marchi registrati.

Secondo l’Agenzia delle dogane, nel caso di specie, dall'esame delle clausole contrattuali si evincerebbe che le società licenzianti godevano di una posizione di vantaggio, ossia erano in grado di controllare l'intera catena produttiva dei beni riportanti il proprio marchio, assumendo il licenziatario e il fornitore estero la veste di contraenti deboli, come tali controllati direttamente o indirettamente.

Pertanto, gli Uffici delle Dogane emettevano avvisi di accertamento nei confronti della società contribuente, con i quali venivano rettificate le dichiarazioni doganali presentate dall'importatore, contestando il mancato pagamento di dazi, IVA e interessi moratori, con irrogazione delle sanzioni.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), previa ricostruzione del dato normativo, accoglieva l'appello principale della società contribuente e rigettava quello incidentale dell'Agenzia delle dogane concernente le sanzioni, evidenziando che:

  • dall'analisi dei contratti tra licenzianti e licenziataria l'unico controllo che il licenziante effettuava nei confronti dei venditori era un controllo di qualità e di rispetto di determinate condizioni di lavoro, mentre i licenzianti non imponevano i produttori terzi alla licenziataria, né ne indirizzavano la scelta, restando la licenziataria libera di scegliere il produttore;
  • per il produttore il pagamento delle royalties alla licenziante non aveva alcuna importanza, in quanto tale elemento non intersecava il rapporto di produzione e pagamento della merce da lui prodotta;

In conclusione, non sussistevano le condizioni per computare nel valore in dogana delle merci importate l'importo dei diritti di licenza. L’Agenzia delle dogane, non soddisfatta, proponeva ricorso in Cassazione.

Le conclusioni della Corte di Cassazione

Il valore in dogana delle merci importate è, di regola, il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando vengono vendute per l'esportazione a destinazione del territorio doganale dell'Unione, fatte salve le rettifiche da effettuare conformemente all'art. 32 CDC.

Detto valore deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti. Conseguentemente anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.

Ai sensi dell'art. 32, par. 1, lett. c), CDC, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa il relativo importo, al prezzo si addizionano “i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci”.

Peraltro, ai sensi dell'art. 157, par. 2, DAC, ai fini di computare i diritti di licenza nel valore della merce devono ricorrere tre concorrenti condizioni:

  1. i corrispettivi o i diritti di licenza non devono essere stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare;
  2. detti corrispettivi o diritti devono riferirsi alle merci da valutare;
  3. l'acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare.

La questione dirimente risulta, nel caso di specie, quella concernente la terza condizione data dalla configurabilità del versamento dei diritti di licenza come condizione di vendita della merce; essa si traduce nella verifica se il venditore sia disposto o meno, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza, nonché, tenuto conto del fatto che ci si riferisce ad un marchio di fabbrica (cfr. art. 159 DAC), nella verifica se il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza.

Nel caso proposto il controllo del licenziante riguarda unicamente la qualità del prodotto, senza alcuna imposizione alla licenziataria circa la scelta dei produttori, essendo la licenziataria tenuta a fornire ai licenzianti "un rapporto completo sulla produzione e tutti i controlli sulle idee creative e sui materiali, gli imballaggi".

Come già evidenziato nei precedenti gradi di giudizio, il pagamento del diritto di licenza non è previsto come condizione di vendita della merce, pertanto, va esclusa la sussistenza di un vero e proprio potere di controllo da parte del titolare dei diritti immateriali.