Lavoro Dipendente

Trattenute in busta paga per danni aziendali: le regole

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 26607 del 2 ottobre 2025  ha offerto un importante chiarimento sulla possibilità per il datore di lavoro di operare trattenute in busta paga a titolo risarcitorio,  nel caso di danni arrecati dal lavoratore al patrimonio aziendale.

In particolare viene specificato che è necessario il rispetto della procedura disciplinare prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970 e dallo specifico contratto collettivo di settore.

Il caso riguarda un rapporto di lavoro nel settore Autotrasporti e Logistica, ambito in cui la contrattazione collettiva (art. 32 del CCNL) disciplina espressamente la responsabilità del dipendente per i danni arrecati a mezzi e attrezzature, prevedendo anche la possibilità di compensazione tramite trattenuta fino a un limite massimo stabilito.

La Suprema Corte sottolinea tuttavia che tale facoltà non può essere esercitata in assenza della corretta irrogazione della sanzione disciplinare, che costituisce garanzia fondamentale per il lavoratore e condizione essenziale per il legittimo esercizio del potere risarcitorio del datore di lavoro.

Il caso e la previsione del ccnl Logistica

Il procedimento trae origine dal danneggiamento di un muletto aziendale avvenuto durante le operazioni di movimentazione merci. 

A seguito dell’episodio, il datore di lavoro aveva applicato due trattenute nella  busta paga del lavoratore responsabile, per complessivi 2.850 euro, a titolo di risarcimento del danno. 

Successivamente era stata notificata al dipendente anche una sanzione disciplinare di rimprovero scritto.

Il lavoratore aveva contestato sia la sanzione sia le trattenute, chiedendone la restituzione.

Il Tribunale aveva inizialmente rigettato il ricorso; la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma, aveva invece dichiarato illegittima la prima trattenuta, ritenendo che fosse stata applicata prima della comunicazione della sanzione disciplinare, necessaria secondo la disciplina collettiva per fondare il risarcimento.

La Corte territoriale aveva comunque riconosciuto la responsabilità del lavoratore per il danno prodotto, ritenendo legittima solo la seconda trattenuta, effettuata in un momento successivo rispetto all’avvio della procedura disciplinare.

La società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro:

  • errata interpretazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori e dell’art. 32 del CCNL di riferimento;
  • omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di risarcimento;
  • violazione delle norme processuali in tema di appello incidentale;
  • errata liquidazione e ripartizione delle spese di lite.

La Suprema Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi, confermando la decisione di appello.

Trattenute in busta paga solo dopo sanzione disciplinare

La Corte di Cassazione ha ribadito che la trattenuta in busta paga a titolo risarcitorio è legittima solo se preceduta dall’irrogazione della sanzione disciplinare, come previsto dall’art. 32 del CCNL Autotrasporto Merci e Logistica

Tale previsione contrattuale, secondo la Corte, costituisce una garanzia essenziale per il lavoratore e condiziona l’esercizio del potere risarcitorio da parte del datore.

Richiamando i principi dell’art. 7 della legge n. 300/1970, la Cassazione ha affermato che:

  • la sanzione disciplinare esiste ed è efficace solo se comunicata al lavoratore;
  • non è possibile distinguere fra “adozione” e “comunicazione” della sanzione: senza comunicazione, la sanzione non è giuridicamente perfezionata;
  • la trattenuta precedente alla comunicazione della sanzione viola il procedimento garantito e risulta quindi illegittima.

La Corte ha inoltre precisato che la responsabilità del lavoratore per il danno non era più oggetto di contestazione, essendo passata in giudicato nelle fasi precedenti. La questione esaminata riguardava unicamente la corretta applicazione delle regole procedurali previste dalla contrattazione collettiva.

Sul piano processuale, la Cassazione ha escluso la necessità di una nuova udienza in caso di proposizione dell’appello incidentale, precisando che l’art. 436 c.p.c. non prevede tale adempimento.  Sono state ritenute infondate anche  le censure sulla liquidazione delle spese, ambito nel quale il controllo di legittimità si limita alla verifica dell’assenza di violazioni dei principi sulla soccombenza e dei parametri tabellari.

L’ordinanza si conclude con il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni di merito, compresa la parziale compensazione delle spese di lite e l’obbligo per la società ricorrente di versare il contributo unificato aggiuntivo ex art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002.