Licenziamento e obbligo di repechage: casi pratici al vaglio della Cassazione
Il tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo continua a rappresentare un terreno di forte attenzione giurisprudenziale.
La normativa nazionale, in particolare l’articolo 3 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, individua il giustificato motivo oggettivo nella soppressione del posto di lavoro o nella riorganizzazione aziendale connessa a ragioni economiche, produttive o organizzative. Tuttavia, la legittimità del provvedimento espulsivo è subordinata all’adempimento, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di repechage, ossia alla verifica della possibilità di ricollocare il dipendente in altre mansioni compatibili.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26035 del 24 settembre 2025, ha ribadito e chiarito i criteri applicativi di tale obbligo, rafforzando il principio secondo cui il datore di lavoro deve provare l’impossibilità di ricollocazione.
Il caso
La controversia traeva origine dal licenziamento intimato da una società ad un proprio dipendente, motivato da esigenze organizzative e dalla soppressione della posizione ricoperta. Il lavoratore impugnava il licenziamento, sostenendo che l’azienda non avesse assolto correttamente l’onere di repechage, ossia non avesse dimostrato l’impossibilità di ricollocarlo in mansioni diverse, equivalenti o anche inferiori, purché compatibili con le sue competenze professionali.
In primo grado, il giudice aveva ritenuto legittimo il recesso datoriale, rilevando come la riorganizzazione aziendale fosse stata provata. Tuttavia, il lavoratore proponeva appello, lamentando che non fosse stata adeguatamente verificata la possibilità di impiego in altre funzioni interne
Decisioni di merito e sentenza di Cassazione
La Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva accolto le doglianze del lavoratore, ritenendo insufficiente la prova fornita dal datore di lavoro in merito all’impossibilità di assegnare il dipendente ad altre mansioni. Tale valutazione è stata confermata dalla Corte di Cassazione, ordinanza n. 26035/2025, la quale ha sottolineato che l’onere probatorio grava integralmente sul datore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte, il repechage non è un mero adempimento formale, ma un obbligo sostanziale che mira a salvaguardare il diritto del lavoratore alla continuità occupazionale.
La decisione conferma un orientamento consolidato, riaffermando il principio di proporzionalità e ragionevolezza che deve guidare l’esercizio del potere datorial
Licenziamento illegittimo e onere di dimostrare l’assenza di altri posti assegnabili
La Corte di Cassazione anche con l'Ordinanza n. 2739 del 30 gennaio 2024, ha affermato che è illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente in mancanza di una proposta di reinserimento anche se con un inquadramento inferiore .
I giudici nella pronuncia chiariscono inoltre su chi grava l'onere della prova sulle effettive possibilità di assegnazione a un diverso ruolo in azienda. Vediamo maggiori dettagli e altri casi , con orientamenti anche opposti sullo stesso tema.
La vicenda riguardava il licenziamento di una centralinista che opponeva ricorso, respinto dalla Corte di Appello di Roma con la motivazione che “da un lato, l’introduzione del sistema automatico di risposta telefonica, era stato posto legittimamente dalla società quale elemento organizzativo produttivo integrante l’ipotesi di motivo oggettivo del licenziamento intimato, posto che, all’evidenza l’attività di smistamento delle telefonate è divenuta per la società non più proficuamente utilizzabile e, dall’altro, che le mansioni residuali ben potessero essere redistribuite all’interno dell’Ufficio”;
Sull’adempimento dell’obbligo del repêchage”, la Corte ha affermato che, “se e vero che l`onere probatorio della impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni – anche diverse purché equivalenti a quelle precedentemente svolte – spetta al datore di lavoro, è anche vero che, trattandosi di prova negativa da fornire con prove presuntive , spettava alla dipendente evidenziare le possibilità di diversa assegnazione in azienda " ponendo in tal modo la parte datoriale nella condizione di poter dimostrare concretamente per quale motivo l’inserimento del lavoratore nelle posizioni lavorative evidenziate non era praticabile”. In questo modo la Corte ha ritenuto provata “la impossibilità di utilizzare la lavoratrice in un altro settore con mansioni equivalenti”.
Il giudizio di Cassazione non conferma questa lettura e cassa la sentenza . In particolare viene specificato che:
- l’affermazione dei giudici d’appello secondo cui incomberebbe sul lavoratore un onere dimostrare l'esistenza di un lavoro in cui potrebbe essere utilmente adibito” contrasta con una oramai consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale spetta invece al datore di lavoro dare prova dell'impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (come nella sentenza di Cass. n. 5592 del 2016)- vedi sotto una pronuncia in senso opposto);
- In secondo luogo i giudici territoriali hanno errato nel considerare che l’impossibilità di ricollocare il lavoratore da licenziare sia limitato alla possibilità che quest’ultimo possa svolgere mansioni comunque equivalenti a quelle precedentemente espletate. La giurisprudenza di legittimità ha infatti ormai piu volte affermato che l’indagine va estesa anche all’impossibilità di svolgere mansioni anche inferiori (da ultimo v. Cass. n. 31561 del 2023
Già con la sentenza delle Sezioni Unite è stato sancito il principio per il quale si considera preponderante per il lavoratore il mantenimento del posto di lavoro, rispetto alla salvaguardia di una professionalità che sarebbe comunque compromessa dall’estinzione del rapporto; il principio, originariamente affermato in caso di sopravvenuta infermità permanente, è stato poi esteso anche alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovute a soppressione del posto di lavoro in seguito a riorganizzazione aziendale (Cass. n. 21579 del 2008; Cass. n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019; Cass. n. 31520 del 2019).
Repechage anche per collocazioni future
Si segnalano in tema di obbligo di repechage alcune sentenze che approfondiscono ulteriori aspetti.
Ad esempio nella sentenza 12132/2023 la Cassazione ha ampliato l'ambito di applicabilità dell'obbligo di repechage da rispettare prima del licenziamento di un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, affermando che sulla base del principio di correttezza e buona fede obbligatori nel rapporto di lavoro, la situazione aziendale al momento del licenziamento non è il solo ambito in cui valutare le disponibilità di mansioni affidabili al dipendente ma vanno considerati anche posti che si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo»
Nel caso analizzato dalla cassazione al momento del licenziamento del ricorrente erano infatti state rassegnate le dimissioni da due lavoratori che erano nel periodo di preavviso. Questo deponeva secondo la suprema Corte per un possibile futuro ricollocamento a breve del lavoratore e per la conseguente illegittimità del licenziamento.
Onere della prova anche sul lavoratore per la Cassazione 18416 2013
Diversamente dalla sentenza piu recente la Cassazione 1 agosto 2013, n. 18416 ha stabilito che l'onere probatorio circa l'effettiva sussistenza del motivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro grava interamente sullo stesso, il quale deve dimostrare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.
Tuttavia tale prova non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell'accertamento di un possibile repechage, mediante l'allegazione di una lista di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti.
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