Redditi esteri: quattro nuovi principi di diritto dell’Agenzia delle Entrate

Pubblicati recentemente dall'Agenzia delle Entrate quattro principi di diritto in tema di rapporti con l'estero.

In particolare, il principio di diritto 15 del 29 maggio 2019 ha affrontato il tema della corretta determinazione del credito d’imposta estero sulla base delle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Stati Uniti. In particolare, Alfa ha chiesto di sapere se deve calcolare il credito d’imposta per redditi prodotti all’estero in base alle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Stati Uniti, senza applicare la limitazione di cui all’articolo 165, comma 10 del TUIR, a mente del quale “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che il metodo scelto dall’Italia e dagli Stati Uniti per eliminare la doppia imposizione giuridica è quello del credito d’imposta, secondo cui lo Stato della residenza determina le imposte sulla base del reddito complessivo del contribuente, che include il reddito prodotto nello Stato estero dove, in applicazione della Convenzione, lo stesso è stato già sottoposto a imposizione. Successivamente, lo Stato della residenza, concede una detrazione dalle imposte dovute dal contribuente per le imposte già pagate nello Stato estero. Anche sul piano della norma domestica, la scelta del legislatore italiano è stata quella di contrastare il fenomeno della doppia imposizione internazionale mediante il riconoscimento di un credito d’imposta da portare a riduzione delle imposte sui redditi dovute in Italia. Posta la sostanziale coincidenza di principi alla base della normativa convenzionale e domestica, il concorso del reddito prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo imponibile in Italia costituisce un requisito necessario ai fini della successiva detrazione dall’imposta italiana dell’imposta pagata all’estero nei limiti della maximum deduction. La mancata “inclusione” del reddito in argomento nel reddito imponibile in Italia e quindi, il non realizzarsi della condizione del concorso del reddito estero al reddito complessivo, comporta l’impossibilità di procedere alla stessa determinazione del credito d’imposta. Ciò vale, per coerenza, anche nel caso di concorso parziale del reddito estero al reddito complessivo imponibile (evidentemente per la parte non assoggettata a imposizione) e, quindi, anche nel caso di detassazione di una parte del reddito estero per effetto dell’applicazione dell’istituto del patent box.

 

Il principio di diritto 16 del 29 maggio 2019 ha chiarito che Ai fini di quanto previsto dall’articolo 167, comma 4, del TUIR (nella versione in vigore fino al 11 gennaio 2019), la circolare n. 35/E del 4 agosto 2016 ha chiarito che si considerano speciali “i regimi che concedono un trattamento agevolato strutturale, risolvendosi in un’imposizione inferiore alla metà di quella italiana”. In base a quanto previsto dalla medesima Circolare, nell’ipotesi in cui il regime speciale sia fruito “parzialmente”, vale a dire riguardi solo particolari aspetti dell’attività economica complessivamente svolta dal soggetto estero, occorre adottare “un criterio di prevalenza che valorizzi l’attività risultante maggioritaria in termini di entità dei ricavi ordinari”. A tal proposito, nel caso in cui la società partecipata non residente operi in un Paese che preveda un regime su base territoriale, il quale esenta da imposizione tutti i redditi di fonte estera, nel citato “test di prevalenza” saranno ricompresi tutti i ricavi relativi ai redditi di fonte estera, non assumendo alcuna rilevanza la circostanza che i redditi siano prodotti all’estero con o senza una stabile organizzazione.

 

Il principio di diritto 17 del 29 maggio 2019 ha chiarito che la legge di bilancio 2018 precisa che gli utili percepiti dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 non si considerano provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato se:

  • maturati in periodi d’imposta antecedenti a quello in corso al 31 dicembre 2014, in cui le società partecipate erano residenti in Paesi non inclusi nella black list di cui al d.m. 21 novembre 2001 (unico criterio all’epoca vigente);
  • maturati in periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014 in Stati o territori non a regime fiscale privilegiato e successivamente percepiti in periodi d’imposta in cui risultano integrate le condizioni di cui all’articolo 167, comma 4, del TUIR.

La novella si applica esclusivamente ai casi in cui, in presenza di distribuzione di utili pregressi, muti la qualificazione dello Stato di residenza della società partecipata, da Paese considerato a tassazione ordinaria a Paese a fiscalità privilegiata. Non si applica, invece, nell’ipotesi inversa ovvero nel caso in cui la maturazione degli utili è avvenuta in periodi d’imposta nei quali le società partecipate erano residenti o localizzate in Stati o territori inclusi nel D.M. 21 novembre 2001 e la percezione degli stessi avviene quando le predette società sono da ritenersi residenti o localizzate in Stati o territori non a regime fiscale privilegiato. In tal caso restano validi i chiarimenti forniti nella circolare n. 35/E del 4 agosto 2016.

Infine il principio di diritto 18 del 29 maggio 2019 ha chiarito che ai fini di quanto previsto dall’articolo 89, comma 3, primo periodo del TUIR, per ricostruire il corretto regime di tassazione degli utili distribuiti da una partecipata residente in un paese non considerato a regime fiscale privilegiato con stabile organizzazione in un paese a regime fiscale privilegiato, occorre trattare autonomamente gli utili prodotti dalla partecipata direttamente rispetto a quelli prodotti dalla stabile organizzazione. Si applicano i chiarimenti previsti dalla Risoluzione n. 144/E del 2017. Tale valutazione autonoma non deve essere effettuata nell’ipotesi in cui la partecipata sia qualificabile come entità residente in un paese a regime fiscale privilegiato, in quanto in tal caso tutti gli utili da essa prodotti si considerano derivanti da un’entità “black list”, a prescindere dal fatto che la stabile organizzazione sia localizzata o meno in un paese a fiscalità privilegiata.

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