Codice della Crisi: quando il Concordato è “minore”?

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in acronimo “CCII”, rectius il D.lgs. 14 gennaio 2019, n. 20) ha riscritto un istituto già contemplato dalla L. n. 3 del 2012, e riservato ai debitori in situazione di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, c. I, lett. c) CCII: il concordato minore.

Nel sostituire l’accordo di composizione della crisi (disciplinato negli artt. 7-8 della Legge n. 3 del 2012), l’istituto in questione si tinge dei connotati del modello concordatario, al contempo tenendo fuori dalle soggettività che possono accedervi, quella dei consumatori.

Il CCII ha affiancato, alle procedure riservate agli imprenditori commerciali che presentano i requisiti di assoggettabilità alla procedura di liquidazione giudiziale (ai sensi dell’art. 2, comma I, lett. d) CCII), le procedure di sovraindebitamento.

Si osserva tuttavia che, tra le procedure di sovraindebitamento, solamente la liquidazione controllata del sovraindebitato (art. 268 e seguenti CCII) risulta praticabile, così come già previsto dagli artt. 14-ter e ss. della Legge n. 3 del 2012, nei confronti di imprenditore minore, professionista, consumatore, mentre il concordato minore, in modo dissimile, risulta appannaggio dei debitori che si trovino in condizione di sovraindebitamento ex art. 2, comma I, lett. c) CCII, e ad eccezione del consumatore. Consegue, in definitiva, che il legislatore della riforma, nel riscrivere la procedura disciplinata negli artt. 7-8 L. n. 3, così ridenominandola “concordato minore”, ed escludendo, tra i destinatari di siffatta procedura, la categoria del consumatore, l’ha maggiormente assimilata a quella dei concordati maggiori (liquidatorio e in continuità).

Definizione del concordato minore

Il concordato minore trova la propria disciplina dagli articoli da 74 a 83 CCII, e viene inquadrato quale strumento di regolazione della crisi da sovraindebitamento. Risulta quindi congegnato quale istituto finalizzato alla regolazione della crisi delle imprese minori e degli insolventi civili, non consumatori, rappresentando, come sopra accennato, un’evoluzione della procedura di accordo del debitore già contemplata dalla L. n. 3 del 2012.

Per il tramite della procedura di concordato minore, il debitore, assistito da un OCC (organismo di composizione della crisi), può quindi proporre ai creditori un accordo preordinato alla composizione della crisi che, qualora dagli stessi approvato, potrà essere omologato dal Tribunale (in composizione monocraica), per in seguito essere posto in esecuzione.

Divergenze e analogie rispetto ai concordati

Il concordato liquidatorio minore, diversamente dal concordato in continuità, richiede, ed al pari di quanto statuito nell’art. 84, ultimo comma del CCII, per il concordato preventivo, l’incremento delle risorse da destinare alla soddisfazione dei creditori (art. 74, comma II, CCII). Se difettano queste ultime l’unica strada percorribile, per sciogliere la situazione di sovraindebitamento, è quella della liquidazione controllata del debitore.

Si osserva, inoltre, che la disciplina non contempla percentuali di soddisfazione prefissate per i creditori, contrariamente a quanto statuito dall’art. 84, ultimo comma, CCII. E, ancora, per quanto afferisce il dipanarsi normativo della procedura, secondo l’art. 74, comma IV, CCII, per quanto non espressamente previsto nell’ambito della disciplina del concordato minore, si applicano le disposizioni afferenti al concordato preventivo, tenendo altresì conto che anche in tale contesto opera la regola generale prevista nell’art. 65, comma II, CCII, cioè il rinvio alle disposizioni sul procedimento unitario.

Alla proposta concordataria in questione, il legislatore ha riservato una peculiare fisionomia:

  • contenuto libero,
  • può prevedere il soddisfacimento dei creditori attraverso qualsiasi forma,
  • indica i tempi e le modalità finalizzate al superamento della crisi da sovraindebitamento.

La proposta è in continuità o liquidatoria:  nel primo caso consente di proseguire l’attività imprenditoriale o professionale, mentre, nel secondo, comporta la cessazione dell’attività. In tale ultima ipotesi opera l’articolo 74, comma II, il quale statuisce che il concordato minore possa essere proposto solamente laddove, attraverso l’approvvigionamento di risorse esterne, si pervenga a un aumento della soddisfazione dei creditori “in misura apprezzabile”.

Soddisfazione dei creditori. Può essere anche parziale e avvenire in qualsiasi forma, con eventuale suddivisione in classi (art. 74, comma 3, CCII). Dalla libertà di contenuto della proposta di concordato minore, discende che il debitore risulta libero di individuare la modalità di soddisfacimento dei creditori più confacente alle risorse di cui dispone, ricorrendo anche a forme differenti rispetto all’ordinaria estinzione dei debiti con denaro. Inoltre, potrà essere presentato un accordo che prevede la vendita dell’immobile di proprietà del debitore nell’ambito della procedura, nella finalità di soddisfare i creditori attraverso il ricavato. Ulteriormente, il debitore potrà proporre in favore dei creditori, la cessione diretta dell’immobile di sua proprietà.

Requisiti ostativi per il concordato minore

Costituiscono requisiti ostativi all’ammissione della procedura:

  • la mancanza dei documenti prescritti negli art. 75 e 76 CCII,
  • la presenza di requisiti dimensionali superiori a quelli previsti nell’art. 2, comma I, lett. d) CCII,
  • l’aver ottenuto l’esdebitazione nel quinquennio precedente,
  • l’averne beneficiato per due volte,
  • l’aver commesso atti di frode nei confronti dei creditori (art. 77 CCII).

L’approvazione del concordato minore

Il concordato minore è approvato dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 79, comma I, CCII), valutando alla stregua di voto favorevole la mancata espressione del voto (art. 79, comma III, CCII), secondo l’ormai collaudato congegno del silenzio-assenso.

Verifica giudiziale e omologazione. Approvata la proposta di concordato minore, il giudice procede alla disamina del piano e, in assenza di contestazioni (salvo quanto si preciserà nel proseguo), emette la sentenza di omologa. Analogamente a quanto avviene per la ristrutturazione dei debiti del consumatore, compete al giudice la verifica:

  • dell’ammissibilità giuridica,
  • della fattibilità del piano.

In ipotesi di contestazioni relative alla convenienza della proposta, il giudice, uditi il debitore e l’OCC, omologa il concordato se ritiene che il credito dell’opponente possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria. L’art. 80, comma III, CCII, prevede che il giudice omologhi il concordato minore anche in mancanza dell’adesione dell’amministrazione finanziaria che sia decisiva per la formazione della maggioranza prevista dall’art. 79, comma I, CCII, qualora la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria medesima risulti conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Infine, qualora il piano preveda la cessione di un immobile ovvero l’affidamento a terzi, il giudice dispone che la sentenza venga trascritta nei Registri immobiliari.

Rigetto dell’omologazione. Al rigetto dell’omologazione del concordato consegue, su domanda del debitore o, in ipotesi di frode di uno dei creditori o del P.M., l’apertura della procedura di liquidazione controllata (ai sensi degli artt. 268 e seguenti CCII).

Esecuzione o Risoluzione del concordato minore

Esecuzione del concordato minore. Tale fase, diversamente da quanto stabiliva la L. n. 3, che poneva come figura cardine quella del liquidatore, è posta in capo al debitore, sotto la sorveglianza dell’OCC, che viene interpellato per la risoluzione di eventuali questioni applicative e, ulteriormente, quando necessario, potrà rivolgersi al giudice.

Risoluzione. La risoluzione del concordato sopravviene per l’omesso adempimento degli atti necessari all’esecuzione, nel termine fissato dal giudice, in ipotesi di mancata approvazione del rendiconto dell’OCC (art. 81, comma III, CCII) e la revoca dell’omologazione, attraverso una disciplina similare a quella dettata dall’art. 72 CCII per il piano del consumatore.

Conversione. In ogni caso di revoca o risoluzione il giudice, su domanda del debitore, dispone la conversione in liquidazione controllata. Qualora la revoca o la risoluzione consegue ad atti di frode o ad inadempimento, detta istanza può essere proposta anche dai creditori o dal PM.