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Confessione stragiudiziale, se l’amministratore firma il verbale

IL CASO

Il contenzioso trae origini da un avviso di accertamento emesso per l’annualità 2001 a carico di una società ai fini Ires ed Irap. Investita della questione, la Ctp annullava l’atto impugnato  rilevando che la determinazione della percentuale di ricarico, posta a fondamento delle pretese erariali, traeva origine da un documento extra contabile utilizzato dai verbalizzanti e non allegato al processo verbale nè presente negli atti causa. Stesso verdetto in appello, dove i giudici decretavano la nullità dell’atto. Con decisione n. 78 del 23 marzo 2009, la commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello argomentando che : " l'ufficio ha motivato l'accertamento in questione con mero rinvio alle considerazioni sviluppate dalla Guardia di finanza, giungendo alle stesse conclusioni senza però sviluppare una propria autonoma valutazione delle medesime, procedendo alla rettifica di singole componenti reddituali in base alla applicazione di una diversa percentuale di ricarico, desunta dai verbalizzanti da un tabulato – di cui non vi è traccia – riportante la situazione delle merci destinate alla rivendita e giacenti in azienda dedotta dai dati contabilizzati”. Invero, era stato proprio l’amministratore della società a concordare con i verbalizzati la percentuale di ricarico del 20 per cento e tale dato era stato inserito nel PVC, poi sottoscritto senza riserve. Da qui la proposizione del ricorso in Cassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria che denuncia errori di giustificazione della decisione di merito sul fatto laddove il giudice d'appello trascura fatti principali e secondari risultanti dagli atti e addotti nel processo a riprova della legittimità degli accertamenti.
 

Dichiarazioni in sede di verifica e rilevanza probatoria in sede processuale

La giurisprudenza è costante nell’affermare che le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società (e tanto vale, mutatis mutandis, anche per il legale rappresentante di una associazione) vanno apprezzate (Cass. 22 febbraio 1999, n. 1481) come una confessione stragiudiziale e, pertanto, costituiscono prova diretta, non già indiziaria, del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, e che, come tale, non ha bisogno di ulteriori riscontri (cfr Cass. 25 maggio 2007, n. 12271, per le dichiarazioni rese in sede di verifica dal direttore tecnico).

In sostanza, le dichiarazioni de quibus equivalgono a confessione stragiudiziale e sono prova di diretta del maggior imponibile accertato nei confronti dell’azienda, senza bisogno di ulteriori riscontri. Giova ricordare che la Cassazione ha anche specificato che, in tema di contenzioso, le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società non assumono contenuto testimoniale, in quanto il rapporto di immedesimazione organica che lega il rappresentante legale alla società rappresentata esclude che il primo possa essere qualificato come testimone, in riferimento ad attività poste in essere dalla seconda.
In merito al problema dell'utilizzabilità nel processo tributario delle dichiarazioni di carattere confessorio rese dal soggetto indagato nel parallelo procedimento penale, la giurisprudenza ha chiarito che l'utilizzazione da parte del giudice tributario, a fini probatori, della confessione resa anche in sede penale dal rappresentante legale della società, non viola il divieto di prova testimoniale nel processo tributario, visto lo stesso rapporto di immedesimazione organica nella struttura societaria (cfr Cassazione, sentenze nn. 7964/1999 e 9320/2003). In particolare, le dichiarazioni rese in sede di verifica da un soggetto (nella specie, il direttore tecnico) che abbia operato per conto dell'impresa e a cui sia attribuita l'emissione di fatture per operazioni inesistenti possono, anche da sole, fondare l'accertamento di un maggior imponibile ai fini dell'Iva, non trattandosi di elemento indiziario, ma di vera e propria confessione stragiudiziale (Cassazione, sentenza n. 12271/2007). Tale assunto è conforme alla normativa civilistica, secondo cui la confessione – giudiziale o stragiudiziale – è la dichiarazione che la parte fa della verità di fatti a essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte (articolo 2730 c.c.), e che la confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale (articolo 2730 c.c.). Le dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, hanno in linea di principio, valore indiziario concorrendo assieme ad altri elementi a formare il convincimento del giudice. Tuttavia, qualora abbiano valore confessorio, "possono integrare una prova presuntiva, ai sensi dell'art. 2729 c.c., idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell'avviso di accertamento in rettifica, da parte dell'amministrazione finanziaria" (Cass. sentenza 27314/2015) (…)