Procedura d’allerta nel codice della Crisi d’impresa: ecco i soggetti coinvolti

Dopo il Comunicato Stampa del 10 gennaio 2019 che annuncia l'approvazione definitiva del decreto legislativo che, attua la legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 e introduce il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attesa della pubblicazione in Gazzetta, prendiamo in esame in questo speciale i soggetti coinvolti nella Procedura di allerta, che è una delle principali novità della riforma.

Col comunicato stampa del 10 gennaio il Consiglio dei ministri ha notiziato in merito all’approvazione, in esame definitivo ma “salvo intese”, del decreto legislativo che, attuando la legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, introduce il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
 

La tempestività nell’emersione della crisi

Nel nuovo Codice della crisi d’impresa, che riforma in modo compiuto ed organico le procedure concorsuali, emerge un istituto del tutto innovativo congegnato per assicurare l’emersione tempestiva della crisi dell’impresa, nella consapevolezza che il trascorrere del tempo peggiori il dissesto, in tal modo compromettendo, ulteriormente, la continuità aziendale e, con essa, le possibilità di soddisfacimento dei creditori.

Più in particolare, la riforma è partita dallo specifico presupposto di rinnovare l’intera disciplina delle procedure concorsuali e fallimentari, consentendo un intervento precoce nelle ipotesi di difficoltà aziendale e, laddove praticabile, salvaguardando le potenzialità economiche, sempreché, per peculiari contingenze economiche, la stessa impresa si sia trovata in difficoltà.

Si tratta delle procedure d’allerta, tese appunto a consentire un intervento tempestivo e preordinato al salvataggio del microcosmo aziendale.

Il parere del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, nel parere espresso il 5 dicembre scorso, ha evidenziato che il nuovo articolato si inscrive nel quadro delle disposizioni internazionali ed europee, tra le quali spiccano:

  • il regolamento (Ue) 2015/848 del Parlamento e del Consiglio del 20 maggio 2015, in tema di efficienza ed efficacia delle procedure di insolvenza per il buon funzionamento del mercato interno in ragione delle maggiori crescenti implicazioni transfrontaliere,
  • la raccomandazione 2014/135/Ue della Commissione del 12 marzo 2014, che sottolinea l’obiettivo di garantire alle imprese sane, in difficoltà finanziarie, l’accesso a un sistema nazionale in materia di insolvenza, che permetta di ristrutturarsi in una fase precoce, come pure concedere un’ulteriore opportunità, nell’intera Unione, agli imprenditori onesti che falliscono,
  • il regolamento delegato Ue 2016/451 della Commissione, che stabilisce i principi e i criteri generali per la strategia d’investimento e le regole di gestione del Fondo di risoluzione unico,
  • la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 novembre 2016 in tema di ristrutturazione preventiva, seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, che prosegue sul solco tracciato dall’intervento anticipato, e prima che l’impresa versi in gravi difficoltà, nonché della ristrutturazione precoce, per preservare le parti di attività economicamente sostenibili, come pure della liquidazione dell’attivo qualora l’impresa non possa essere salvata in diverso modo.
     

Le misure di allerta

Le misure cosiddette “di allerta” rivestono la finalità primaria di persuadere l’impresa ad adottare immediatamente, ed in via autonoma, le misure che appaiono opportune per rimuovere, o quanto meno attenuare, le cause della crisi e, laddove ciò non si perfezioni, ad individuare e attuare dette misure mediante l’ausilio dell’Ocri, un organismo specificatamente istituito presso la CCIAA competente.

In tal modo si dà inizio, se necessario, a dei negoziati coi creditori, tesi al raggiungimento di intese e, eventualmente, di accordi al di fuori delle aule di giustizia (cd. negozi stragiudiziali) e che, in sostanza, si atteggiano quale piano di risanamento.

Solo se le trattative sfociano in un nulla di fatto, l’impresa dovrà imboccare la via delle procedure concorsuali previste dal nuovo codice. Nella ipotesi, estrema, di inerzia e di manifesta insolvenza, scatterà la segnalazione al pubblico ministero affinché si attivi e verifichi la fondatezza dei presupposti per richiedere l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Le segnalazioni dagli organi interni e dai creditori esterni

Il sistema congegnato dalla riforma della crisi d’impresa, si fonda, pertanto, su una struttura normativa dove emergono controlli e segnalazioni, in primo luogo interni all’impresa e, in secondo luogo, gli obblighi di segnalazione in capo ai creditori pubblici, quali Agenzia delle Entrate e Inps.

Quanto ai secondi, l’articolato aggancia l’attivazione delle procedure d’allerta a degli specifici “indicatori” riponendo la relativa competenza in capo a soggettività pubbliche:

  • Debiti di natura fiscale: l’Agenzia delle Entrate risulta obbligata a segnalare quelle fattispecie in cui il debito Iva è pari ad almeno il 30% del volume d’affari del periodo a cui si riferisce l’ultima liquidazione.
  • Debiti contributivi e previdenziali: l’Inps è obbligato alla segnalazione quando il debitore risulta in ritardo, di oltre sei mesi, nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nel corso dell’anno precedente, nonché superiore alla soglia di 50.000 euro.
  • Crediti in riscossione: l’agente incaricato alla riscossione si attiva, quando la somma dei crediti affidati per la riscossione, autodichiarati ovvero definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni, oltrepassi, per le imprese individuali, il limite legale di 500.000 euro e, per le imprese collettive, quello di 1.000.000 di euro.

Quanto alla struttura di controllo e segnalazione interna, opera la nuova formulazione dell’articolo 2086 del codice civile che impone all’imprenditore, costituito in forma societaria ovvero collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, pure in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Nell’ipotesi ove, nel contesto aziendale, ed in conformità alle linee guida normative, siano rinvenuti i cosiddetti indici di crisi, l’organo di controllo risulta obbligato a procedere ad una comunicazione formale indirizzata ai titolari del potere gestorio (rectius, gli amministratori).

Alla formale segnalazione dell’indice consegue l’assegnazione di un termine massimo di giorni 30 giorni, previsto dalla novella, al fine di riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative già intraprese. Qualora il riscontro sia inadeguato, ovvero nei 60 giorni successivi non siano adottate le necessarie misure, il nuovo codice addossa uno specifico onere ai sindaci: informare senza indugio l’Ocri, fornendo allo stesso ogni elemento informativo utile, ed anche derogando agli ordinari doveri di segretezza.

All’obbligo posto a carico degli amministratori della società si affianca l’obbligo dei sindaci, la cui nomina è stata allargata, dal codice in commento, ad ogni società che oltrepassi il limite di 2 milioni di euro di ricavi o di attivo, o di dieci lavoratori dipendenti, come pure al revisore contabile, chiamato a verificare costantemente che l’assetto organizzativo dell’impresa sia adeguato al rilevamento tempestivo della crisi e che sussista l’equilibrio economico finanziario e, per l’effetto, di avvertire a tempo debito gli amministratori in merito all’emersione dei segnali di crisi.

Si evidenzia che nell’articolo 13 vengono precisate le situazioni di crisi che impongono ai sindaci l’obbligo di segnalazione, come previsione di non sostenibilità dei debiti con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare, o d’incapacità di assicurare la continuità aziendale nei successivi sei mesi, rilevando in ogni caso come indice di crisi i ritardi nei pagamenti reiterati e significativi già manifestatisi.

Nella finalità di svolgere in modo omogeneo la spiegata valutazione, la riforma affida al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti l’elaborazione di indici appropriati, facendo al contempo salva la possibilità, in capo alla singola impresa, di adottare dei propri indici, a condizione che siano adeguati al contesto normativo in questione, e risultino oggetto di apposita attestazione.