TARI 2017: ecco una guida per richiedere il rimborso

La TARI, introdotta dalla legge n. 147 del 2013 (Legge di stabilità 2014), insieme con IMU (Imposta Municipale Propria) e TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili), fa parte dell’IUC (Imposta Unica Comunale). La tassa sui rifiuti (TARI) rappresenta il tributo il cui gettito va a finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, secondo quanto previsto dall’art 1 comma 642, è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte idonee a produrre i rifiuti urbani.

Qual è l’evoluzione normativa che ha portato alla TARI?

La disciplina della TARI, ha risentito di tutto quel processo che ha fatto seguito all’intento dello Stato di procedere a dare attuazione al processo di federalismo fiscale sancito nella carta costituzionale all’art. 119, secondo cui: “ I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa… Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario…”.

Ricordiamo che già con l’art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 il legislatore ha inteso assegnare potestà regolamentare in materia tributaria alle realtà locali. In realtà, una prima tassazione finalizzata al sostegno e finanziamento dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti era stata introdotta con il D.Lgs. n. 507 del 15/11/1993 che istituiva la famosa, ma ormai superata, TARSU (rimasta in vigore dal 1993 al 1997 con l’introduzione della TIA). Nel 2011 è invece stato istituito, con il D.L. n. 201 convertito dalla L. n. 214/2011, il tributo comunale rifiuti e servizi (TARES).
La TARI, introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 1 comma 639 della L. n. 147/2013 (L. di stabilità 2004), rappresenta oggi il tributo che ha fatto propria tutta la tradizione normativa, su cui in passato si sono fondate TARSU, TIA e TARES.

Quali sono i tre fattori su cui si fonda l’applicazione della TARI?

Secondo quanto stabilito dal legislatore del 2013 con l’art. 1 comma 641 della L. n. 147, sono tenuti ad adempiere al versamento della TARI, coloro che siano legati, da un vincolo di possesso o comunque di detenzione qualificato, ad un immobile adibito a qualsiasi uso e suscettibile di produrre rifiuti urbani. Mentre la stessa norma, esclude che la Tassa sui rifiuti, si applichi in relazione ad aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e alle aree comuni condominiali, ex art. 1117 c.c., non detenute o occupate in via esclusiva (es. suolo su cui sorge l'edificio, pilastri, scale, portoni di ingresso, etc.).

Ma l’esistenza di un vincolo di detenzione sull’immobile, non rappresenta l’unico presupposto in relazione al quale viene parametrata la TARI; tra gli altri fattori che intervengono, ricordiamo anche: la superficie dell’immobile e la tariffa.

L'applicazione della TARI avviene tenuto conto della superficie dell’immobile già dichiarata, ovvero accertate direttamente dal Comune. Per determinare la metratura delle unità immobiliari ordinarie, che rientrino cioè nelle categorie catastali A, B, C, i comuni potranno servirsi di due differenti regimi:

  • il regime transitorio: adottabile in via esclusivamente momentanea, considerando quale superfice su cui determinare la TARI, la sola superficie calpestabili;
  • il regime permanente: da adottarsi, in sostituzione del regime transitorio, solo dopo che i dati catastali siano stati allineati ai dati toponomastici.

Per le altre unità immobiliari (categorie catastali D ed E) la TARI sarà determinata prendendo in considerazione la sola superficie calpestabile.

Quanto all’ultimo fattore che interviene nella determinazione della Tassa sui rifiuti è opportuno chiarire fin da subito che l’ammontare della TARI è determinato su base tariffaria annua; tariffa che il comune determina alternativamente sulla base del “metodo normalizzato” ex D.P.R. n. 158 del 1999, ovvero secondo il principio, di estrazione europea, “chi inquina paga”. Ricordiamo che la tariffa si compone di due parti: una fissa ed una variabile, articolata nelle fasce di utenza domestica e non, e una maggiorazione del 5% a titolo di addizionale provinciale. Con particolare riferimento alle utenze domestiche, si rileva che:

  • la parte fissa: dovrà essere calcolata moltiplicando la superficie dell’alloggio, maggiorata della superficie delle pertinenze, per la tariffa unitaria che tenga conto del numero degli occupanti dell’utenza stessa;
  • la parte variabile: che come chiarito dal MEF rappresenta un valore assoluto, sarà costituita da un importo rapportato al numero degli occupanti, da sommarsi alla parte fissa.

 

Da dove nasce il problema degli indebiti rincari TARI?

Si è sempre più spesso parlato negli ultimi giorni della tematica degli indebiti rincari TARI. Il tema, ricordiamo, ha indotto il Parlamento italiano ad aprire un’interrogazione parlamentare; spinto i sindaci dei comuni interessati a venire incontro ai contribuenti, sbloccando la strada di rimborsi; e per ultimo, il Ministero dell'economia e delle finanze, a pubblicare una circolare con cui chiarisce la questione e fornisce le indicazioni per richiedere il rimborso di quanto pagato in eccesso. La problematica degli indebiti rincari TARI, ha riguardato l’erronea ripetuta applicazione della quota variabile di cui la tariffa si compone. In particolare i Comuni, per determinare l’ammontare di tributo TARI cui un singolo contribuente è tenuto, avrebbero dovuto applicare la quota variabile una sola volta, anche ove l’immobile abitativo presentasse pertinenze detenute dal contribuente stesso. 

Come è possibile richiedere il rimborso?

Il contribuente che ritenga di aver indebitamente pagato un quantum di imposta superiore a quanto dovuto, potrà richiedere il rimborso, presentando istanza di rimborso ex. art 38 D.P.R. n. 602/1973.

Precisando che, l’istanza di rimborso potrà riguardare solo la TARI pagata a partire dal 2014 e che il termine per presentare l’istanza si prescrive entro 5 anni dal pagamento degli importi non dovuti, la stessa non è soggetta a particolari formalità, come chiarito dal MEF. È tuttavia opportuno che all’interno della stessa siano riportati:

  • i dati sensibili del contribuente (che richiede il rimborso);
  • il periodo per il quale il rimborso è richiesto;
  • il vincolo giuridico che lega il contribuente all’immobile;
  • i dati catastali riferiti all’immobile principale e alle pertinenze ad esso annesse, in relazione alle quali è stata erroneamente applicata la quota variabile della tariffa.

L’istanza di rimborso dovrà essere presentata dal contribuente, a mezzo PEC o raccomandata A/R, direttamente alla società privata che, all’epoca in cui risale il tributo oggetto di contestazione gestiva l’entrata; nell’eventualità (probabile) in cui la suddetta società non esiste più, l’istanza dovrà essere proposta (congiuntamente) nei confronti della nuova società di gestione e del Comune. A seguito di tale procedura, potrà verificarsi che:

  • al contribuente sia riconosciuto il rimborso;
  • al contribuente sia notificato un provvedimento di diniego; in tal caso il contribuente che voglia proseguire per il recupero delle somme non dovute, potrà servirsi dello strumento del ricorso entro 60 giorni dalla notifica del diniego;
  • al contribuente non sia riconosciuto né il rimborso né gli sia comunicato alcun provvedimento di diniego; in tal caso il contribuente potrà procedere giudizialmente per il recupero delle somme, mediante ricorso da presentarsi dopo 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.