Nulla la cartella di pagamento se non riporta il calcolo degli interessi

La Corte di Cassazione ha ribadito il principio giurisprudenziale secondo il quale qualora la cartella esattoriale riportante l’importo degli interessi maturati sul debito tributario di un contribuente non contenga anche il calcolo e le procedure seguite dall’Amministrazione fiscale per la determinazione degli interessi stessi, la cartella è da ritenersi nulla.

 

La cartella di pagamento

Come noto e come si può leggere nel sito web dell’Agenzia delle Entrate, la cartella di pagamento è l’atto che l’Agenzia delle Entrate – Riscossione invia ai contribuenti per recuperare crediti vantati dagli Enti creditori (la stessa Agenzia o dall’Inps o dai Comuni ecc.).

La cartella esattoriale contiene in sostanza l’invito, inoltrato al contribuente debitore dell’Erario, a provvedere a liquidare le somme dovute entro il termine di 60 giorni.
Oltre a tale invito, il titolo in questione contiene la descrizione delle somme dovute, le istruzioni sul pagamento, le spiegazioni per proporre eventuali ricorsi e quelle per richiedere la rateizzazione, il nome del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notifica della cartella.

Il ruolo è un provvedimento amministrativo e l’iscrizione a ruolo (che non è altro che un elenco contenente i nominativi dei debitori e le somme dovute) diviene titolo esecutivo che viene portato a conoscenza dei contribuenti destinatari appunto tramite la cartella di pagamento.

Come già stabilito dalla Suprema Corte nel 2008 con la sentenza n. 24928, è necessario che nel ruolo e nella cartella di pagamento vi sia l’indicazione del titolo in base al quale è effettuata l’iscrizione a ruolo ed in virtù della regola generale di motivazione degli atti amministrativi, nel ruolo devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che sono a fondamento della pretesa riscossione, a meno che gli stessi non siano già noti al contribuente da precedenti atti.

L’ordinanza n. 10481 del 03.05.2018

Nell’arresto in rassegna, i giudici di Piazza Cavour hanno ribadito un principio giurisprudenziale già seguito dalla Corte (sentenze n. 8651 del 2009 e n. 15554 del 2017) e per il quale, come evidenziato nell’ordinanza, “non v’è ragione di discostarsi”.

Secondo il principio in questione "in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario dev'essere motivata (…) dal momento che il contribuente dev'essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi".
In tal senso la Corte di Cassazione fa suoi i principi sanciti dalla Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) in tema di chiarezza e trasparenza degli atti dell’Amministrazione finanziaria: solo attraverso la chiarezza e la trasparenza degli atti in argomento può essere garantito il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, che può quindi essere messo, fin dal momento della notificazione di un dato provvedimento, in condizione di contestarlo scegliendo un’adeguata linea difensiva (così anche nella sentenza della Corte di Cassazione n. 1905 del 2007).

Con tali motivazioni, pertanto, la Suprema Corte ha confermato la nullità della cartella di pagamento nel caso in cui non risultano chiaramente le procedure di calcolo seguite dall’Amministrazione finanziaria per la determinazione degli interessi sul debito tributario.