Demansionamento e perdita indennità: dipendente da risarcire

La recente sentenza della Cassazione n. 22636 2025 fornisce un importante chiarimento sulla tutela dei lavoratori in materia di demansionamento e sulle conseguenze economiche legate alla perdita di indennità accessorie. 

In particolare  si afferma che i giudici di merito devono valutare attentamente il nesso causale tra l’illegittimo comportamento datoriale e la perdita economica subita dal dipendente, anche quando si tratti di voci retributive accessorie collegate a particolari modalità di lavoro, con conseguente obbligo di risarcimento. 

Ecco più in dettaglio il caso e le motivazioni della Suprema Corte.

Il caso e le decisioni di merito

La vicenda trae origine da una causa di lavoro promossa da un dipendente contro la società datrice, a seguito dell’assegnazione a mansioni ritenute dequalificanti rispetto a quelle precedentemente svolte. In primo grado, il Tribunale di Lanciano aveva riconosciuto l’illegittimità del demansionamento, condannando l’azienda a risarcire sia il danno biologico, sia il danno professionale, quantificato nel 20% delle retribuzioni percepite nel periodo di dequalificazione (sei anni e sei mesi). Inoltre, era stato liquidato un danno patrimoniale pari a oltre 116.000 euro, corrispondente alla perdita delle maggiorazioni retributive spettanti per il lavoro notturno. La Corte d’Appello di L’Aquila, nel 2021, aveva in parte confermato e in parte riformato la decisione. Pur riconoscendo la sussistenza del demansionamento e confermando il risarcimento per danno biologico e professionale, i giudici di secondo grado avevano escluso il diritto al ristoro per la perdita dell’indennità notturna. Secondo l’interpretazione allora accolta, tale emolumento non costituiva un diritto acquisito del lavoratore, bensì una mera voce retributiva accessoria, dovuta solo in presenza della prestazione effettiva nel turno disagiato.

Risarcimento per demansionamento

La controversia è giunta quindi  dinanzi alla Corte di Cassazione  con il ricorso del lavoratore contro la  decisione di secondo grado,  denunciando in particolare violazione dell’art. 2103 c.c. – in tema di adibizione a mansioni non corrispondenti all’inquadramento. 

La società ha resistito  lamentando l’inesistenza del demansionamento e l’erroneità delle liquidazioni operate nei gradi precedenti.

La Suprema Corte ha confermato la sussistenza del demansionamento e la legittimità del riconoscimento dei danni biologici e professionali, rilevando come la Corte territoriale avesse erroneamente trascurato le allegazioni del dipendente circa la perdita delle maggiorazioni notturne.

Secondo gli Ermellini, tuttavia,  la questione non riguardava l’esistenza di un “diritto acquisito” a essere sempre impiegato di notte, bensì il dato fattuale che, per diversi anni, il lavoratore aveva effettivamente prestato la propria attività nel turno notturno percependo regolarmente le relative indennità. 

Con l’assegnazione a mansioni inferiori e al turno diurno, egli aveva perso tale trattamento economico, configurando così un danno patrimoniale diretto e immediato ai sensi dell’art. 1223 c.c.

Le conseguenze della pronuncia: la motivazione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, demandando alla stessa Corte territoriale – in diversa composizione – di riesaminare il caso sotto il profilo del danno patrimoniale da perdita delle indennità notturne. 

È stato ribadito che, in presenza di un accertato demansionamento, la valutazione delle conseguenze economiche deve tener conto:

  • sia della dequalificazione e dei riflessi sulla professionalità, che
  •  delle concrete perdite subite in relazione al trattamento economico già consolidato nel tempo.

In questo senso, la Suprema Corte ha richiamato la giurisprudenza che ammette, in sede di liquidazione equitativa del danno da demansionamento, l’utilizzo della retribuzione come parametro di riferimento, valorizzando qualità e quantità dell’esperienza lavorativa e le circostanze specifiche del caso concreto.

 Il punto centrale è che la perdita delle indennità notturne, percepite in maniera costante e documentata per oltre cinque anni, non può essere ignorata in quanto rappresenta una conseguenza immediata e diretta della condotta datoriale illegittima.

Nel caso specifico il calcolo è stato il seguente:

Voce di danno Quantificazione
Danno biologico € 7.417,30 oltre accessori
Danno da dequalificazione professionale 20% delle retribuzioni per 6 anni e 6 mesi
Danno patrimoniale da perdita indennità notturne € 116.410,40 (da riesaminare in rinvio)