Permessi studio per università telematiche: la Cassazione chiarisce i limiti
Con l’ordinanza n. 25038 dell’11 settembre 2025 (udienza del 15 aprile 2025), la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta su una questione di crescente rilevanza nel pubblico impiego: la possibilità di usufruire dei permessi retribuiti per motivi di studio da parte dei dipendenti che frequentano corsi universitari in modalità telematica.
Il caso ha riguardato alcuni dipendenti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che avevano fruito dei permessi previsti dall’articolo 48 del CCNL Comparto Agenzie Fiscali, per seguire lezioni universitarie online. L’amministrazione aveva contestato la mancata presentazione di certificazioni attestanti che le lezioni si svolgessero in orari coincidenti con l’attività lavorativa.
Il tema, di grande attualità anche per le amministrazioni pubbliche e i consulenti del lavoro, tocca il bilanciamento tra diritto allo studio e obblighi di servizio, alla luce delle peculiarità della didattica telematica.
Il caso e le decisioni di merito
Il Tribunale di Milano aveva accolto il ricorso dei lavoratori, riconoscendo loro il diritto ai permessi studio senza necessità di dimostrare la coincidenza tra orario di lavoro e frequenza delle lezioni.
La decisione si fondava sull’articolo 48 del CCNL Agenzie Fiscali e sulla circolare ministeriale n. 12/2011, interpretate nel senso di garantire un diritto allo studio ampio, indipendente dalla modalità (presenza o telematica) di frequenza.
La Corte d’Appello di Milano aveva confermato tale orientamento, escludendo che la contrattazione collettiva imponesse l’onere di provare l’impossibilità di seguire i corsi in orario diverso da quello di servizio. Secondo i giudici di secondo grado, un’interpretazione restrittiva avrebbe discriminato gli studenti iscritti a università telematiche, costringendoli a concentrare l’attività di studio fuori dall’orario lavorativo, in contrasto con il principio di parità di trattamento e con il diritto allo studio sancito dall’articolo 10 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).
Tuttavia, l’amministrazione aveva proposto ricorso per Cassazione, denunciando la violazione delle norme sopra richiamate e sostenendo la necessità di distinguere tra corsi in presenza, soggetti a orari vincolati, e corsi online, che possono essere seguiti in modalità asincrona e quindi anche al di fuori dell’orario di servizio.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane, ribaltando le decisioni di merito. Secondo i giudici di legittimità, la disciplina applicabile — in particolare l’articolo 46 del CCNL Funzioni Centrali 2016-2018 — richiede che i lavoratori, per poter usufruire dei permessi retribuiti per motivi di studio, presentino idonea documentazione attestante la partecipazione effettiva alle attività didattiche coincidenti con l’orario di lavoro.
La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza costante (Cass. civ. n. 10344/2008 e n. 17128/2013), ribadendo che i permessi retribuiti possono essere concessi soltanto per la frequenza di lezioni o corsi in orari coincidenti con quelli di servizio, non per la semplice attività di studio o preparazione agli esami.
Pertanto, nel caso delle università telematiche — in cui le lezioni possono essere seguite in qualsiasi momento — il lavoratore può fruire dei permessi solo se dimostra, tramite certificazione dell’ateneo, che la partecipazione alle lezioni è avvenuta in giorni e orari effettivamente coincidenti con quelli lavorativi.
In assenza di tale prova, viene meno il presupposto oggettivo che giustifica l’assenza dal servizio.
La Cassazione ha dunque respinto la domanda dei dipendenti, precisando che l’assenza giustificata deve derivare da un’impossibilità oggettiva e non da una scelta discrezionale del lavoratore. Le spese dei gradi di merito sono state compensate, mentre i ricorrenti sono stati condannati al rimborso delle spese di legittimità.
L’ordinanza n. 25038/2025 della Corte di Cassazione chiarisce in modo definitivo che, per i corsi universitari erogati in modalità telematica, il diritto ai permessi studio è subordinato alla prova della coincidenza tra orario di lavoro e attività formativa.
Applicabilità al settore privato
La sentenza n. 25038/2025 della Corte di Cassazione riguarda il settore pubblico, ma si fonda su principi generali comuni anche al lavoro privato, in particolare:
l’onere del lavoratore di dimostrare la coincidenza tra attività didattica e orario di lavoro, ai sensi dell’art. 2697 c.c. (onere della prova);
la distinzione tra frequenza di corsi (che giustifica l’assenza retribuita) e studio individuale o attività asincrona (che non la giustifica);
la finalità oggettiva del permesso: consentire la partecipazione a lezioni o esami incompatibili con il normale orario di servizio.
In altre parole, la Cassazione afferma che i permessi studio retribuiti non servono a garantire il tempo per studiare, ma a permettere la partecipazione a lezioni obbligatorie o esami che si tengono durante l’orario di lavoro.
Questo principio è già stato applicato anche a casi del settore privato in precedenti pronunce, come in :
- Cass. civ. sez. lav. n. 10344/2008
- Cass. civ. sez. lav. n. 17128/2013
In tali decisioni, la Corte ha stabilito che il lavoratore può assentarsi dal lavoro solo per partecipare a lezioni o esami che si tengono in orario coincidente con quello di servizio, non per svolgere studio personale.